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VECCHIE PANDEMIE E NUOVI DILEMMI: PROFILI CRITICI DEGLI STRUMENTI DI PREVENZIONE DEL CONTAGIO

Luglio 7, 2021

A detta degli esperti, l’unico modo per aggredire e sbarazzarci del Covid-19 è vaccinare la più larga porzione possibile della popolazione, oltre che predisporre modalità sempre più sofisticate di tracciamento del contagio.

A questo proposito, dunque, se da un lato si obbligano le persone che lavorano a contatto con i soggetti fragili a vaccinarsi, dall’altro si predispongono strumenti di tutela per gli spostamenti e la partecipazione ad eventi, come ad es. il green pass.

Tutto bene e tutto chiaro? Non sembrerebbe. Ma andiamo con ordine.

La questione dell’obbligo vaccinale.

Derogando alla norma generale che prevede la raccolta del consenso informato per ogni trattamento sanitario, il D.L. n. 44/2021, convertito in L. 28 maggio 2021, n. 76 ha sancito per gli esercenti professioni sanitarie l’obbligo di vaccinarsi contro il SARS-CoV-2.

La deroga si pone in linea con quanto previsto all’art. 32, comma 2, primo periodo, della Costituzione, laddove si afferma che: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.”. Ne consegue che il diritto all’autodeterminazione cede il passo rispetto alla prevalente esigenza di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, come si legge all’art. 4, comma 1 del citato decreto legge.

Sicché gli esercenti le professioni sanitarie che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati – se vogliono continuare a operare in ambito sanitario– devono sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2.

Il decreto legge prevede una generica esenzione al comma 2: l’obbligo vaccinale viene meno “solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale”.

Dalla lettura della norma, si evince altresì che il Legislatore ha inteso escludere la sanzione del licenziamento in caso di rifiuto del lavoratore a sottoporsi a vaccinazione anti-Covid. Infatti, si prevede espressamente la possibilità per il datore di lavoro di sospendere il lavoratore senza retribuzione “fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021”.

Tuttavia, prima di procedere in tal senso, il datore di lavoro deve accertarsi che il lavoratore non possa essere adibito a mansioni che non implicano contatti interpersonali, in modo da ridurre per quanto possibile il rischio di diffusione del contagio. Solo successivamente a tale verifica il lavoratore potrà essere sospeso senza retribuzione.

Quando, invece, l’omissione o il differimento della vaccinazione sia giustificata da ragioni mediche, il datore di lavoro dovrà assegnare il lavoratore a mansioni che non implichino contatti interpersonali e riducano il rischio di contagio, salvo – ove ciò non sia possibile – l’applicazione delle norme in materia di assenza da Covid. Di talché, laddove sia impossibile implementare una modalità di lavoro agile, l’assenza del lavoratore verrà equiparata a ricovero ospedaliero (art. 26, comma 2 e 2-bis del D.L. 18/2020).

La questione del green pass.

Da febbraio 2020 ci siamo progressivamente abituati a subire delle restrizioni – più o meno intense – alla nostra amata libertà personale. Dal coprifuoco alle zone gialle, arancioni o rosse, siamo passati – finalmente – alla zona bianca e abbiamo visto riespandersi il diritto di spostarci senza doverne dare conto.

Ma – e c’è un ma – con l’avvento della bella stagione si pone il problema di continuare a tracciare ed evitare il contagio, dando precise norme di comportamento per la partecipazione a eventi o gli spostamenti tra Stati. Ben prima che l’UE provvedesse alla predisposizione del c.d. Green Pass (in termini tecnici il “Digital Green Certificate” – DGC), l’Italia si era munita della c.d. Certificazione Verde Covid-19.

Sicchè, il must-have per l’estate 2021 sembra essere il green pass. Vediamo nel dettaglio funzionamento e criticità. Ci sono tre specie di certificazione verde:

TipologiaRilasciato daValidità
Per avvenuta vaccinazioneServizio Sanitario Regionale di competenza– dal 15° giorno dopo la prima dose fino alla data prevista per la fine del ciclo vaccinale (quando sono previste 2 dosi) – 9 mesi dal completamento del ciclo vaccinale
Per avvenuta guarigione– Struttura ospedaliera presso cui si è effettuato un ricovero – ASL competente – Medici di medicina generale / pediatri di libera scelta6 mesi dalla data di fine isolamento
Per effettuazione di test antigenico rapido o molecolare * per la ricerca del virus SARS-CoV-2 con esito negativo    Strutture sanitarie pubbliche, private autorizzate, accreditate, dalle farmacie o dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta che erogano tali test.48 ore dal prelievo del materiale biologico
* attenzione: al momento il test sierologico non è un test previsto per il rilascio della certificazione verde; si fa qui riferimento al tampone.  

La certificazione verde vale solo sul territorio nazionale fino all’implementazione del Digital Green Certificate Europeo (DGC), che dovrebbe avvenire dal 1° luglio. La differenza tra i due certificati? Nella sostanza poco cambia, infatti le tipologie e le fattispecie rimangono le medesime.

Le principali differenze sono che:

  • Il DGC verrà rilasciato da una piattaforma unica nazionale e avrà la forma di un codice a barre bidimensionale (QRcode), la cui validità sarà verificabile attraverso dei sistemi digitali
  • Il DGC, pur non rappresentando un requisito essenziale per viaggiare, agevolerà gli spostamenti intraeuropei, perché chi ne sarà in possesso potrà viaggiare senza ulteriori quarantene o test antigenici
  • Il certificato verde vale solo sul territorio nazionale, ed è indispensabile – come spiegato sopra – per la partecipazione a matrimoni o per lo spostamento da o verso zone rosse o arancioni

Quindi, semplificando, una volta che sarà disponibile il Digital Green Certificate Europeo (DGC) verrà meno ogni utilità della certificazione verde nazionale, anche se – per la verità – il Regolamento UE 2021/953 lascia impregiudicata la competenza di ciascun stato europeo di imporre eventuali ulteriori misure e restrizioni per l’accesso e la permanenza sul proprio territorio nazionale.

Chiaramente, l’emissione di un certificato di tal guisa ha posto significative questioni dal punto di vista del trattamento dei dati personali. Invero, non poche perplessità da parte delle Autorità di controllo sulla protezione dei dati europee aveva indotto l’embrionale proposta di implementare un green pass europeo. Tuttavia, all’art. 10 del Regolamento UE 2021/953 stabilisce, in ossequio al principio di minimizzazione del trattamento previsto dal GDPR, che i dati raccolti nel contesto del rilascio di un certificato COVID digitale europeo dovranno essere trattati unicamente al fine di agevolare la libera circolazione all’interno dell’Unione Europea durante la pandemia per il tempo strettamente necessario.

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